Hamid e Kinza
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Una storia ambientata in Marocco. Se tu avessi una sorella cieca e un patrigno che se ne vuole sbarazzare che cosa faresti? Una storia entusiasmante con un susseguirsi di eventi mozzafiato.
ISBN: 9788890457586
Producer: Centro Evangelico Modenese
Product Code: 9788890457586
Weight: 0,230kg
Binding: Brossura
Language: Italian

Sample chapter

CAPITOLO I


In un mezzogiorno di primavera, una fanciulla scendeva la china della montagna. A piedi nudi, col vestitino di cotone rimboccato fino a lasciarle scoperte le ginocchia, saltellava come un capretto, scavalcando le zolle di fiorranci selvatici che sembravano essersi schiusi solo per lei. Nei prati sommersi dall'acqua fiorivano i prugnoli, che visti dall'alto sembravano un mare di schiuma bianca lungo le rive del torrente. Teneri capretti trotterellavano tra i fiori, e sui tetti di paglia le cicogne fabbricavano i loro nidi. Ovunque luce e movimento, e tutt'intorno bambini che ruzzavano, gridavano e correvano partecipando all'umore gioioso della primavera.
Rahma, che aveva preso una scorciatoia giù per il crinale della collina, raggiunse con un balzo il sentiero e danzando proseguì la sua corsa. Era minuta, nonostante i suoi sette anni, poiché di rado mangiava a sazietà, non era amata dal patrigno, né dalla prima moglie di lui, anzi, talvolta la picchiavano. I suoi vestiti erano a brandelli e lavorava come una vera madre di famiglia. Tuttavia queste difficoltà non riuscivano ad offuscare la sua gioia, quando le si presentava qualcosa di piacevole. La fortuna quel giorno le sorrise. Suo fratello e sua madre dovevano partire per una misteriosa spedizione, e lei se ne sarebbe andata a sorvegliare le capre.
Libera, senz'altra compagnia che quella delle cicogne e delle sue capre, avrebbe avuto due ore intere per giocare sotto il sole con i capretti. Nessuno l'avrebbe rimproverata, nessuno l'avrebbe costretta a far girare la mola o a sollevare i pesanti secchi d'acqua. Disteso, il suo corpo stanco diveniva leggero come un lembo di nuvola. Il fiume scintillante, i fiorranci, il sole, tessevano intorno a lei un mondo dorato che nessun pauroso avvenire sarebbe stato capace di oscurare.
Da lontano, Rahma scorse suo fratello alle prese con una coppia di testardi capretti neri, che volevano ad ogni costo introdursi in un campicello di frumento. La primavera li rendeva eccitati ed essi sgambettavano in tutte le direzioni, ad eccezione di quella giusta. Con belati gioiosi spiccavano salti arditi; ma la loro vivacità non indisponeva Hamid, il loro guardiano, anzi, egli provava un'esultanza simile alla loro. Quei tre stavano scalpitando al limite del campo di frumento, quando Rahma balzò improvvisamente in mezzo a loro, i capelli scuri e lisci che le scendevano a ciocche sul viso e le pupille nere, brillanti.
Spolmonandosi e ridendo, spinsero insieme i capretti verso il fianco aperto della collina, dove si trovava sparso il resto del gregge. Hamid allora si volse, colpito dall'esuberanza della sorella. Si meravigliò per tanta gaiezza ed abbandono, tanto più che l'educazione delle ragazze indigene impone loro di camminare posatamente e di prestare ascolto alle persone più anziane e più esperte. Inoltre aveva già sette anni, perciò era quasi una piccola donna.
« Che cosa ti porta qui, Rahma? »
« Vengo a sorvegliare le capre, mamma ha bisogno di te ».
« Perché? »
« Non lo so, non so nemmeno quale incarico ti voglia affidare. Credo che la sorellina sia malata, la mamma l'osserva e si dispera ».
Ricordando le lacrime della madre, una nuvola passò sui suoi occhi luminosi. Rahma amava sua madre, tuttavia il sole e la libertà le avevano fatto dimenticare momentaneamente ogni cosa; per di più, trovandosi sola con lei, accadeva spesso che la madre si abbandonasse alle lacrime, cosicché Rahma vi si era quasi abituata.
« D'accordo », disse Hamid « sorveglia bene le bestie. Tieni, ecco un bastone ».
Girandole le spalle, egli s'inerpicò per il vallone tra le due verdi braccia della montagna. Procedeva veloce, per non far attendere la madre, ma non saltellava e non si guardava intorno come aveva fatto Rahma, preso com'era dai suoi pensieri.
Per quale ragione sua madre, da un po' di tempo, aveva l'aria così preoccupata ed appariva come piegata dal peso di un pauroso segreto? E perché all'avvicinarsi del marito o della prima moglie nascondeva la sorellina? è vero che essi non avevano un particolare affetto per la bambina, ma sapevano che era là; a che scopo, quindi, sottrarla al loro sguardo? Ora la mamma si mostrava inquieta persino se lui o Rahma giocavano con la sorella minore; la toglieva loro e si rifugiava in un angolo della stanza, serrando la creatura contro di sé, sempre con un'ombra di paura nello sguardo. Erano gli spiriti maligni che ella temeva? O un veleno? Hamid se lo domandava. Glielo avrebbe detto quel pomeriggio? Egli decise di affrettarsi.
Arrampicandosi per il sentiero, sospirò: fino a pochi mesi prima la madre non era mai apparsa spaventata a tal punto, e mai Rahma e lui erano stati picchiati o messi da parte.
Erano cresciuti al riparo della loro capanna ricoperta di paglia, circondati dall'affetto della mamma e del papà.
Dopo Rahma erano nati tre piccini dalla testa arruffata, che però cominciarono ben presto a dimagrire e a tossire. Cadde la neve, la razione di combustibile e di pane diminuì, essi s'indebolirono sempre di più e se ne andarono a poche settimane l'uno dall'altro. I loro gracili corpicini furono seppelliti sul versante est della montagna, rivolti verso oriente. Margherite e fiorranci spuntarono sulle loro tombe.
Quell'inverno anche il padre ebbe una brutta tosse, ma nessuno ci fece caso; dopotutto, un uomo deve guadagnarsi la vita. Egli continuò così a lavorare, arò i suoi campi e fece le sue semine. Ma una sera, al ritorno, disse che non ce la faceva più. Fino all'autunno giacque sulla stuoia di giunco, indebolendosi sempre di più. La moglie Zohra, Hamid e Rahma raccolsero il grano maturo e spigolarono nei campi più che poterono per procurargli il nutrimento; ma fu inutile. Egli morì, lasciando vedova e senza un soldo la sua bella e giovane moglie con i due bambini.
La casa, la capra, le galline, il campicello, tutto fu venduto ed essi se ne andarono a vivere presso la nonna. Passarono alcuni mesi e nacque la sorellina. La sua venuta diede nuova speranza e gioia alla famigliola così provata; fu chiamata Kinza, che significa « tesoro », e nessun bimbo fu mai più amato e vezzeggiato. Tuttavia, fatto strano, la creaturina non giocava mai, né batteva le manine come gli altri piccini. Dormiva, dormiva e spesso giaceva indifferente, fissando il vuoto.
Hamid si stupiva che i fiori dai colori smaglianti, colti apposta per lei, non sembrassero procurarle la minima gioia. Kinza aveva qualche mese, quando una seconda domanda di matrimonio fu fatta a sua madre. Senza lavoro e non riuscendo più a procurare da mangiare per i suoi figli, ella accettò; così la famiglia migrò verso il nuovo domicilio.
Non era certo un focolare accogliente. Il marito, Si Mohamed, già sposato ad una donna di una certa età, non aveva figli e ne desiderava. Non esitò a prendersi Hamid, un ragazzo di nove anni sarebbe stato un utile guardiano di capre; nessuna obiezione quanto a Rahma, una monella di sette anni sarebbe stata per lui una serva a buon mercato; però egli non vedeva a che cosa potesse mai servire una bimba in fasce. Pensò quindi di sbarazzarsi di Kinza.
« Esistono tante donne senza figli che sarebbero felici di averne una» disse, «chi obbliga me ad allevare quella di un altro?».
A queste parole Zohra era scoppiata in singhiozzi disperati e si era rifiutata di lavorare fino a quando egli non avesse cambiato idea; e Si Mohamed aveva ceduto, almeno per un certo tempo. Sembrava che la questione fosse stata messa da parte, a meno che, pensava Hamid, non se ne fosse discusso in quelle ultime settimane senza che lui e Rahma ne sapessero qualcosa. Era forse per questo che la mamma stringeva a sé Kinza con tanta paura nello sguardo?
Una voce sopra di lui gli ingiunse di affrettarsi. Egli alzò lo sguardo e vide Zohra accanto ad un pozzo, all'ombra di un vecchio ulivo contorto; portava due secchi vuoti ed aveva Kinza appesa alle spalle con un telo. Sembrava sulle spine per qualche cosa.
« Sbrigati Hamid! » disse con impazienza. « Ti muovi così lentamente per il sentiero! Nascondi questi secchi tra i cespugli, li ho presi soltanto per trovare la scusa di uscire di casa, nel caso che Fatima volesse sapere dove io andassi. Tu verrai con me ».
« Dove, madre? » s'informò il fanciullo, disorientato.
« Te lo dirò quando avremo fatto il giro della montagna», replicò lei, mentre lo precedeva a passi veloci e risoluti sull'erba verde. « Se restiamo ancora qui, dal pozzo ci vedranno e riferiranno a Fatima della nostra partenza. Seguimi, ti spiegherò ».
Procedettero in fretta, finché non ebbero superato lo sperone superiore della montagna e furono nascosti alla vista del villaggio; ormai guardavano su un'altra valle.
La giovane madre si sedette, svolse il telo e si prese la creatura in grembo.
« Guardala bene, Hamid. Gioca con lei, mostrale i fiori ».
Meravigliato, il ragazzo osservò gravemente e a lungo il viso calmo e stranamente vecchio della sorellina, ma ella non rispose al suo sorriso né al suo sguardo, sembrava guardare qualcosa di molto lontano e non vedere il fratello. Con un brivido di paura, egli le agitò le dita davanti agli occhi, ma Kinza non si mosse, né batté ciglio.
« è cieca ». Sussurrò alla fine Hamid. Aveva le labbra secche e il volto pallidissimo.
La mamma annuì rimettendosi velocemente in piedi.
« Sì, è cieca. Da quando ne ho avuto la certezza ho agito in modo che Fatima e mio marito non se ne accorgessero. Quando se ne renderanno conto mi toglieranno la bambina, questo è certo; perché mai dovrebbero occuparsi della figlia cieca di un altro uomo? Ella non potrà mai lavorare, mai sposarsi... ».
La voce le si spezzò e, accecata dalle lacrime, inciampò sul sentiero accidentato. Hamid l'afferrò per un braccio.
« Dove stiamo andando, mamma? » domandò ancora.
« Alla tomba del Santo, dietro la prossima collina », rispose ella affrettando il passo « dicono che sia un Santo molto potente e che abbia operato molte guarigioni. Fino ad ora Fatima non mi ha mai dato la possibilità di andarci, ma, per il momento, crede che io sia a prendere l'acqua; bisognerà perciò che noi torniamo a casa con i secchi pieni. Ho voluto che tu mi accompagnassi perché il sentiero è poco frequentato ed avevo paura di trovarmi sola ».
Continuarono ad arrampicarsi in silenzio, troppo ansimanti per riuscire a parlare, fino a quando la roccia nuda non subentrò alle zolle di erbetta verde e fiorita. Qui, si apriva una piccola caverna scavata in un masso, all'ombra di un arbusto ai cui rami erano stati appesi frammenti di carta sporca, ognuno dei quali raccontava una storia dolorosa: i malati, i cuori infranti, i senza figli, i non amati, tutti portavano i loro fardelli di pena presso quel mucchietto d'ossa e se ne tornavano a casa ancora sofferenti ed infelici.
Depositarono la bambina all'entrata della grotta; la madre si prostrò, si rialzò e si prostrò ancora, invocando il nome di un dio di cui non sapeva nulla e quello del suo profeta Maometto. Era la sua ultima speranza. Ma mentre ella pregava una nuvola oscurò il sole e Kinza, non più riscaldata dai suoi raggi, rabbrividì e cominciò a piangere, cercando a tentoni le braccia della mamma. Per un momento la donna scrutò attentamente il viso della figlia, poi, con un sospiro di delusione, se la riprese. Dio non l'aveva ascoltata, Kinza era sempre cieca.
Hamid emerse dal prato di fiorranci fra i quali si era rannicchiato, e quasi correndo Zohra e lui discesero il pendio. Erano in ritardo e il sole già tramontava dietro le montagne. Le cicogne passavano strepitando, scure contro lo sfondo rosa del tramonto. Hamid, disgustato e amaramente deluso, volgeva uno sguardo minaccioso sul mondo bagnato dall'ultimo bagliore di quella luce stupenda. L'incanto dei fiorranci, la tenerezza dei germogli di grano, lo splendore del cielo al tramonto, a che serviva tutto ciò? La sorellina non avrebbe mai potuto goderne; Dio aveva l'aria di non curarsene, e il Santo morto non faceva niente per aiutarli. Forse giudicava le femminucce indegne di lui.
Raggiunsero il pozzo in silenzio. Hamid tirò su l'acqua per la madre, le consegnò i secchi e si precipitò verso la valle alla ricerca di Rahma e delle capre, che incontrò a mezza costa. Impaurita dalle ombre che scendevano, Rahma voleva rientrare. Ella fece scivolare la sua mano minuta in quella del fratello, mentre le capre, pure ansiose di tornare all'ovile, si stringevano confusamente vicino alle loro gambe.
« Dove siete stati? » s'informò Rahma.
« Alla tomba del Santo », rispose Hamid. « Rahma, la nostra sorellina è cieca. Tutto è tenebra per lei ed è per questo che la mamma la nasconde. Non vuole che Fatima e Si Mohamed lo sappiano ».
Rahma rimase come pietrificata.
« Cieca? » fece eco; poi, come se un pensiero la colpisse, aggiunse subito: « E il Santo, non potrebbe darle la vista? ».
Hamid scosse la testa.
« Non credo che questo Santo valga granché », disse arditamente « Mamma lo supplicò quando nostro padre tossiva, e, che cos'è successo? Papà è morto ».
« è la volontà di Dio » concluse Rahma; e, alzando le spalle, ebbe un gesto d'impotenza, come per dire: « Non ci si può fare nulla! ». Quindi, tenendosi vicini perché ormai calava la notte, risalirono la collina; gli occhi delle capre splendevano come lanterne verdi nell'oscurità.
« Io odio il buio » mormorò Rahma con un brivido. Ma Hamid contemplava l'azzurro profondo del cielo attraverso la filigrana delle foglie degli ulivi.
« Io » disse « amo le stelle ».

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Mary Patricia St. John
Mary Patricia St. John (1919 - 1993) è stata una scrittrice inglese. Ha lavorato la maggior parte della sua vita come un'infermiera missionaria protestante in Marocco. Successivamente trascorse quattro anni in una clinica in un villaggio. Lei ha scritto tesori della neve e segreto di Tanglewood, e stelle di luce e segreto della quarta candela che erano basati sulle sue esperienze a Tangeri.

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