Dalla prigione alla lode
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Già paracadutista dell'esercito Statunitense e cappellano militare con il grado di tenente colonnello e con alle spalle svariate esperienze militari, dalla Seconda Guerra Mondiale al Vietnam, il Reverendo Merlin R. Carothers rivive con noi in questo libro le vicende che lo hanno portato a realizzare la grande verità che la lode a Dio produce miracoli. L'insegnamento semplice ma solenne contenuto in questa testimonianza ha davvero risolto problemi spirituali, materiali e fisici di tantissime persone, come attestano le centinaia di lettere ricevute dal suo autore. "Se la lode fosse un pensiero mio, sono certo che non funzionerebbe mai. Dato che invece è un pensiero di Dio, funziona sempre".
ISBN: 9788880770046
Producer: Editrice Uomini Nuovi
Product Code: 9788880770046
Weight: 0,150kg
Binding: Brossura
Language: Italian

Sample chapter

Capitolo 1:

IN CARCERE

Sentii un freddo metallico sul polso sinistro e una voce rude colpì le mie orecchie:
“Siamo dell’F.B.I. Siete in arresto!”
Ero seduto sul sedile posteriore dell’automobile, il finestrino aperto e il braccio sinistro che pendeva fuori. L’automobile era rubata e io ero disertore.
Non mi importava di essere disertore. Era piuttosto il fatto di essere stato preso, quello che feriva il mio orgoglio. Mi ero sempre considerato capace di fare ciò che avevo deciso e di uscirne a buon mercato ed ecco che dovevo subire l’umiliazione della prigione, fare la coda per una miserabile pietanza fredda, per ritrovare poi la mia cella solitaria con il suo duro letto, senza avere altro da fare che fissare il muro e domandarmi come avevo potuto essere così stupido da mettermi in un simile pasticcio.
Dall’età di dodici anni avevo condotto una vita abbastanza indipendente: mio padre era morto all’improvviso, lasciando mia madre sola con tre figli da crescere. I miei fratelli avevano rispettivamente uno e sette anni. Per riuscire a mantenerci, la mamma integrava i sussidi d’assistenza facendo il bucato per altri. Ci parlava sempre di papà che era in cielo e di Dio che avrebbe avuto cura di noi; ma semplici come si è a dodici anni, io ero in piena rivolta contro un Dio capace di trattarci così.
Dopo la scuola recapitavo giornali porta a porta fino a tarda sera. Ero deciso a fare la mia strada nella vita. Volevo trarne il massimo. Avevo il presentimento che ce l’avrei fatta. Volevo impadronirmi di tutto quello che la vita poteva offrirmi.
Quando mia madre si risposò andai a vivere presso vecchi amici di mio padre. Frequentavo la scuola secondaria, continuavo a lavorare la sera e durante tutte le vacanze. Feci l’imballatore, il commesso, il linotipista e, durante un’estate, il boscaiolo in Pennsylvania.
Cominciai l’Università ma, a corto di denaro, dovetti riprendere a lavorare. Questa volta trovai un posto di laminatore nelle acciaierie B. & V. Un lavoro non troppo piacevole, ma che mi manteneva in eccellente forma fisica. Per rimanere in testa nella corsa per la vita bisogna, tra l’altro, avere una buona forma fisica e in nessun caso volevo perdere questa corsa.

Non avevo mai desiderato arruolarmi nell’Esercito; volevo imbarcarmi nella marina mercantile. Mi era sembrato il modo più attraente per partecipare alla seconda guerra mondiale.
Per entrare nella marina mercantile occorreva ottenere il massimo del punteggio dal comitato di reclutamento, che mi aveva accordato una proroga per andare all’Università. Ma prima che fossi riuscito a entrare nella marina mercantile, l’esercito mi arruolò. Mi dissero che potevo chiedere di andare volontario nella Marina. Accettai la proposta, ma un incidente bizzarro mi fece sbagliare l’esame della vista: per inavvertenza, sbagliai riga nel leggere le lettere della tabella. Così, malgrado tutti i miei sforzi, andai a finire al campo d’addestramento di Fort McClellan in Alabama.
Mi annoiavo mortalmente. L’addestramento mi pareva una puerilità.
Dato che avevo il gusto dell’avventura, mi presentai volontario per l’addestramento di paracadutista a Fort Benning in Georgia.
Con il mio carattere ribelle per natura, il mio più grande problema era sempre quello dei rapporti con i superiori.
Mi scoprivano tutte le volte, malgrado i miei sforzi per non farmi notare. Un giorno, durante la ginnastica su una pista di segatura, sputai a terra senza riflettere. Il sergente mi vide e si precipitò su me come un toro infuriato: “Raccoglilo con la bocca e portalo fuori dal campo!” urlò. “Vuol scherzare”, pensai. Ma il suo viso scarlatto di collera indicava che non scherzava affatto. Umiliato e fremente di rabbia impotente, dovetti raccogliere lo sputo con una boccata di segatura e portarlo “fuori dal campo”.
Ma l’umiliazione fu ben presto largamente compensata dall’istante in cui, per la prima volta, ci diedero l’occasione di saltare da un aereo in volo. Questo era vivere! Era quello il genere di sensazioni a cui aspiravo. Alcuni ordini brevi in mezzo al rombo del motore: “Pronti! ...In piedi! ...Agganciatevi! ...Alla porta! ...SALTATE!”
L’impatto con l’aria fa sentire come una foglia morta sollevata dal vento e quando il paracadute si apre e la corda si tende bruscamente, produce una scossa da spezzare le ossa: si ha l’impressione di essere colpiti in pieno da un camion di dieci tonnellate.
Poi, quando il cervello si schiarisce, ci si trova in un meraviglioso mondo di silenzio; sopra ondeggia il paracadute aperto, come una gigantesca cupola di seta bianca.
Finalmente ero paracadutista, con l’onore tanto desiderato di portare i prestigiosi stivali da salto.
Tuttavia avevo bisogno di sensazioni ancora più forti e mi offrii volontario per un corso di sabotaggio. Volevo partecipare alla guerra al fronte, in prima linea.
“Più sarà difficile, meglio andrà per me”, mi dicevo.
Dopo il corso di sabotaggio raggiunsi Fort Benning per attendere l’ordine di partenza. Mi misero di guardia alla prigione, poi alla cucina... non era precisamente inebriante! La pazienza non era il mio forte. Al ritmo con cui procedeva l’esercito, mi vedevo già perdere tutto il piacere previsto e pulire pentole fino alla fine della guerra!
Non potevo più rimanere a far niente. Con un camerata decidemmo di tentare la sorte.
Un giorno uscimmo dal campo a piedi, come se niente fosse. Rubammo un’automobile e partimmo. Per sfuggire a eventuali ricerche, presto abbandonammo la vettura e ne rubammo un’altra. Infine arrivammo a Pittsburgh, in Pennsylvania. Là, dato che non avevamo più denaro, decidemmo di fare una rapina. Io avevo la pistola e il camerata attendeva nell’auto. Scegliemmo un magazzino che sembrava essere una preda facile.
Il mio piano era di strappare prima di tutto i fili del telefono perché nessuno potesse chiamare la polizia, ma avevo un bel tirare, quelli si rifiutavo ostinatamente di cedere. Mi arrabbiai. Avevo la mia arma in tasca, la cassa era piena di denaro, ma la linea con la polizia resisteva. Non volevo rischiare un disastro. Tornai all’auto per parlare al mio camerata: eravamo seduti sul sedile posteriore, chiacchierando e mangiando mele verdi, quando tutto ad un tratto il lungo braccio della legge ci raggiunse. Noi non sapevamo che era stato dato l’allarme in sei Stati e che l’F.B.I. era alle nostre calcagna.
La nostra ricerca di avventura terminava con un penoso fiasco: tornavo a Fort Benning nella prigione di cui ero stato guardiano qualche mese prima. Mi condannarono a sei mesi. Immediatamente feci domanda d’assegnazione alle truppe d’Europa.
I miei compagni di prigione si facevano beffe di me: “Tu non avresti disertato se avessi voluto essere inviato al fronte!” Ma io persistevo nel sostenere che avevo disertato perché mi annoiavo mortalmente nell’attesa della partenza.
La mia causa fu infine presa in considerazione. Venni assegnato alle truppe d’oltremare e condotto “sotto scorta” al Campo Kilmer nel New Jersey, dove fui messo agli arresti in attesa di essere imbarcato per l’Europa.
Finalmente in viaggio! Quasi, almeno... Ma ecco che alla vigilia della partenza del nostro bastimento venni chiamato nell’ufficio del comandante dove mi informarono che non avrei potuto partire con gli altri soldati: “L’F.B.I. si oppone; esige il vostro rientro a Pittsburgh”.
Ancora una volta sentii l’acciaio freddo delle manette e sotto buona scorta tornai a Pittsburgh. Là un giudice severo mi lesse l’accusa.
“Colpevole o non colpevole? Come vi dichiarate?”
Mia madre era là e i suoi occhi pieni di lacrime mi mettevano a disagio. Non ero pentito di ciò che avevo fatto, no. Ma volevo uscire di là per vivere una vita avventurosa e il più presto possibile.
“Colpevole, signor giudice!” Ero stato colto sul fatto e d’altronde avevo deciso che sarebbe stata l’ultima volta. Avrei imparato i trucchi e per l’avvenire avrei cercato di non lasciarmi più prendere.
Il Procuratore raccontò in dettaglio la mia vita passata al giudice, che domandò ai giurati il loro parere.
“Vostro Onore, noi raccomandiamo l’indulgenza”.
“Che cosa desiderate, soldato?” mi domandò allora il giudice.
“Ritornare nell’esercito e andare in guerra!”
“Io vi condanno a cinque anni di carcere nel penitenziario federale”.
Lo shock non avrebbe potuto essere più violento se avessi ricevuto una tonnellata di mattoni sulla testa. Avevo diciannove anni e ne avrei avuti ventiquattro all’uscita dalla prigione. Tutta la mia vita crollava.
“Tuttavia, vi accordo la sospensione della pena e per ora tornerete nell’esercito”, aggiunse.
Salvo! Grazie a Dio! In meno di un’ora fui libero. Ma prima il procuratore mi diede un severo avvertimento: se avessi lasciato l’esercito prima di cinque anni, avrei dovuto fare rapporto al suo ufficio.
Finalmente libero! Ritornai a Fort Dix, nel New Jersey, dove ricevetti una nuova tonnellata di mattoni sulla testa: dopo aver esaminato i miei incartamenti, mi mandarono a scontare i miei sei mesi di prigione per diserzione!
Giunto là, non avevo più che un pensiero in mente: andare in guerra e farla finita. Ricominciai le mie pratiche per partire alla volta dell’Europa con una nave, molestando il comandante tanto e così bene che dopo quattro mesi mi liberò. Fui presto in viaggio attraverso l’Atlantico a bordo del Mauritania.
Eravamo ammucchiati nella stiva su sei ordini di cuccette sovrapposte e per fortuna me ne fu assegnata una in alto. Sfuggivo così alla pioggia di vomito che innaffiava periodicamente le cuccette inferiori.
Questo, d’altronde, non mi avrebbe troppo infastidito, tanto fremevo di piacere all’idea d’essere in viaggio; e non perdevo il mio tempo. Ero deciso a ricavare dalla guerra eccitazione e guadagno nella misura maggiore possibile. Quando ero stato in prigione avevo acquisito un talento che ora mi rendeva un bel servizio: ero diventato abile al gioco e i giorni e le notti della nostra traversata erano occupati in questo prezioso passatempo.
Accumulai una discreta somma e la sola cosa che mi ricordò lo scopo del nostro viaggio fu un breve incontro con un sottomarino tedesco che tentò di farci colare a picco ma mancò il bersaglio.
In Inghilterra salimmo su treni che ci condussero in riva alla Manica, da dove prendemmo il largo su piccoli battelli. Diluviava. Arrivati all’altezza della costa francese, dovemmo saltare nell’acqua che ci arrivava fino alla vita e sguazzare fino alla riva. Sulla spiaggia si dovette fare la coda, con i vestiti inzuppati, per avere la nostra razione fredda. Poi in tutta fretta prendemmo un treno in direzione est.
Dopo aver attraversato la Francia senza fermarci, ci trasbordarono su camion e ci portarono in Belgio, dove arrivammo in tempo per l’offensiva delle Ardenne con la 82a divisione aerotrasportata.

Il mio primo giorno di combattimento il comandante notò sul mio stato di servizio che ero esperto in sabotaggio e mi incaricò di fabbricare piccole bombe con esplosivo al plastico.
La pila d’esplosivo aveva circa un metro di altezza; mi sedetti su un tronco e mi misi al lavoro.
Un altro soldato si aggiunse a me; erano molti mesi che faceva parte di questa unità. Mentre mi raccontava le sue esperienze io guardavo dalla parte del campo di battaglia: le esplosioni di artiglieria si avvicinavano sempre più alla nostra posizione. Con la coda dell’occhio sorvegliavo l’altro soldato, chiedendomi quando mi avrebbe dato il segnale di metterci al coperto. Lui aveva esperienza e io non ero che un coscritto e non volevo aver l’aria d’essere un pauroso.
Le esplosioni si avvicinavano ancora e la mia paura aumentava. Se uno di questi obici ci colpiva... la nostra pila di esplosivo non avrebbe lasciato che un cratere gigantesco.
Il mio compagno rimaneva pacificamente seduto senza prestare alcuna attenzione all’artiglieria. Avevo un desiderio disperato di mettermi al coperto, ma non volevo tuttavia mostrarmi pauroso. Finalmente le esplosioni s’allontanarono... Eravamo salvi!
Due giorni più tardi scoprii perché l’altro soldato era rimasto così impassibile. Attraversavamo insieme una foresta piena di mine. Esaminavo con cura il sentiero per scoprire la minima traccia di queste trappole così subdole, ma il mio compagno non guardava assolutamente dove metteva i piedi. Finii per dirgli:
“Perché non fai attenzione alle mine?”
“Tutto quello che spero è di toccarne una!” mi rispose. “Ne ho abbastanza di questa sporca guerra. Non ho che un desiderio: farla finita”.
Da quel giorno mantenni sempre più distanza possibile tra me e lui.
Alla fine della guerra mi recai con il 508o reggimento aerotrasportato a Francoforte, in Germania, per servire nella guardia del corpo del comandante in capo dell’esercito, il generale Dwight D. Eisenhower.
Fu un momento di gloria nella mia vita. Io, Merlin Carothers, guardia personale di un generale con cinque stelle! Sentivo di essere infine diventato “un uomo importante”.
Mi sarebbe piaciuto vedere più azione, ma il bottino di guerra non era comunque male.
Vivevamo in appartamenti lussuosi che erano appartenuti ad alti ufficiali tedeschi. I precedenti occupanti non avevano avuto che un preavviso di cinque minuti prima della partenza. Trovammo album di foto di famiglia, armi e persino gioielli. Usavo il mio tempo libero per andare in cerca di “tesori”.
Quando ero in servizio era sempre divertente. Una sera fui assegnato come sentinella al cancello d’ingresso del quartier generale di Eisenhower. Succedeva qualcosa di speciale. L’ufficiale di servizio disse: “Carothers, questa potrebbe essere una grande notte. La terrò informata”.
Un po’ di tempo dopo l’ufficiale di servizio tornò e disse: “Ecco, Carothers. La Comandante del Corpo delle Ausiliarie dell’Esercito darà un ballo per le sue ragazze la settimana prossima, ma non ha invitato i paracadutisti. Quando il nostro Ufficiale in Comando ha chiesto perché, gli è stato risposto che al loro ballo non volevano alcun ‘assassino strapagato’.
“Le regole dicono che tutte le ausiliarie di servizio devono trovarsi all’interno di questo cancello non più tardi delle 21. Dopo le 21 nessun’ausiliare potrà passare il cancello finché non le preleverò io personalmente. Non si faccia abbindolare da nessuno. Ho messo qui lei appunto perché so che non le lascerà passare!”
Alcuni minuti dopo le 21 una jeep guidata da un sergente dell’esercito si arrestò davanti al cancello. Una ragazza ausiliaria stava seduta accanto al soldato. Dissi: “L’ausiliaria deve scendere e restare qui presso il cancello”.
“Lei cosa?” La rabbia del sergente esplose!
“Mi ha sentito”.
“Perché?”
“Non c’è un motivo. Signorina, scenda dalla jeep adesso e stia accanto a me”.
Non avevo mai parlato così a un sergente. Se avesse fatto parte dell’aeronautica, probabilmente non avrei osato.
Il sergente scaricò qualche dozzina di maledizioni, ma poi se ne andò. Sapeva che io, in qualità di guardia assegnata al cancello, avevo piena autorità.
Dalle 21 alle 21 e 45 arrivarono venti ausiliarie. Le sere precedenti erano arrivate quando volevano loro, ma questa sera era diverso. Ero nel mezzo di un uragano. Erano furiose, estremamente furiose. Che linguaggio mi toccò sentire!
Alle 22 e 45 arrivò un’auto dello stato maggiore, guidata da un colonnello. Mai nella mia carriera avevo parlato ad un vero colonnello. Gli comunicai il messaggio educatamente. “L’ufficiale del Corpo delle Ausiliarie che è con lei deve unirsi a queste altre signore accanto a me”.
“Togliti di mezzo, soldato! Lei non lascerà questo veicolo”.
“Sì, signore, lei deve”.
“Soldato, ti do un ordine diretto. Togliti dalla strada. Stiamo per passare”.
Un ordine diretto rappresenta il linguaggio più forte che un ufficiale può usare nei confronti di un soldato. Ma stava tentando di fare il gradasso con il soldato sbagliato.
In puro stile cowboy sfoderai la mia “45 automatica”, tirai indietro il cane e dissi: “Signorina, scenda e si unisca alle altre. Colonnello, giri il veicolo adesso e se ne vada!”
Lo fece.
Alle 23 l’ufficiale di servizio giunse in jeep. Chiese all’ausiliaria con il grado più basso di salire sulla jeep e poi disse: “Signore, tornerò a prendervi tutte, una alla volta”.
Il giorno dopo la Comandante del Corpo delle Ausiliarie dell’Esercito chiamò il nostro Ufficiale in comando e invitò tutti i soldati dell’aeronautica al ballo da lei indetto.
Nella mia ricerca del sensazionale e di forti emozioni, una volta mancò poco che ne avessi più di quanto desiderassi. Ci avevano fatto salire in aereo per essere paracadutati. Doveva essere una normale esercitazione, ma ci avevano detto che a terra ci sarebbe stata l’attrice Marlene Dietrich ad assistere ai salti. Noi tutti speravamo di atterrare nei suoi paraggi.
Appena fuori dall’aereo cominciai a scrutare il suolo per tentare di localizzare “la signora dalle belle gambe”. All’improvviso mi resi conto che qualcosa non andava. Sentii il rombo del motore di un aereo proprio sopra di me... Tutto attorno c’erano grida terribili che laceravano l’aria... Parecchie centinaia di paracadutisti erano nell’aria e un aereo con il motore in avaria precipitava diritto su di noi. Gli uomini con il paracadute tagliato dall’aereo avariato si schiantarono al suolo, vicino al luogo dove si trovava Marlene Dietrich. Il mio paracadute rimase intatto. Quando arrivai al suolo c’erano cadaveri dappertutto e l’aereo era in fiamme.
A Francoforte avevo molto tempo libero. A mio giudizio, divertirsi significava ingurgitare una quantità considerevole di bevande alcoliche. Talvolta arrivai a essere ubriaco fradicio al punto da non sapere più quel che facevo e il giorno dopo gli altri soldati mi raccontavano le mie follie. Una volta mi ero steso completamente in un tram tedesco, sfidando chiunque a scavalcarmi. Gli altri soldati, trovando il fatto comico, ridevano a più non posso. Non pensai assolutamente che con ogni probabilità il mio comportamento non contribuiva affatto all’immagine dell’esercito americano in Europa.

Scoprii che il mercato nero era una sorgente di profitto più rapida e più sicura del gioco. Mi misi a comprare sigarette dagli altri soldati per dieci dollari alla stecca. Con una valigia ben piena andavo nei quartieri della città dove si faceva il mercato nero e là rivendevo le mie sigarette a cento dollari alla stecca. Da quelle parti si verificavano spesso aggressioni, risse e omicidi, ma non me ne importava; nella mia tasca avevo la mano su una pistola carica calibro 45. Ben presto la mia valigia fu piena di biglietti da dieci dollari in moneta militare chiamata “scrip”. L’unico problema era trovare il mezzo di mandare questo denaro negli Stati Uniti.
Un controllo severo impediva ai soldati d’inviare fosse pure un solo dollaro in più dell’ammontare del loro stipendio. Passavo notti intere a pensare con quale astuzia avrei potuto eludere il controllo.
All’ufficio postale osservavo gli uomini che facevano la coda per cambiare il loro stipendio mensile in vaglia. Ciascuno doveva presentare la sua scheda di pagamento che indicava l’ammontare esatto di ciò che gli era stato versato. Scoprii un uomo che aveva una pila di queste carte e un sacco di denaro ed era accompagnato da una guardia armata.
Era l’impiegato della compagnia, che faceva vaglia per tutti i suoi uomini. Capii all’improvviso che tutto ciò di cui avevo bisogno era una pila di schede di pagamento. Avendo preso contatto con il preposto alle finanze della nostra unità, non tardai a capire che sarebbe stato disposto a fornirmi quelle schede di pagamento per cinque dollari ciascuna. Ero in affari.
Costituii me stesso commesso della mia compagnia privata! Con il denaro e con le schede andai all’ufficio postale dove accettarono i vaglia senza difficoltà.
Questa astuzia mi valse altre occasioni ancora di accumulare denaro militare. Seppi che uomini giunti da Berlino erano disposti a dare mille dollari in “scrip” per cento dollari in moneta ordinaria. Accettai cortesemente, e con gioia, di rendere loro questo servizio; poi non avevo che da cambiare in vaglia i novecento dollari guadagnati e spedirli. Stavo per fare fortuna!
L’esercito annunciò la sua decisione di mandare alcuni soldati nelle Università d’Europa. Superai con successo gli esami di selezione e fui inviato all’Università di Bristol in Inghilterra. I corsi che seguivo presentavano molto meno interesse del fatto di essere circondato da giovani ragazze che parlavano inglese.
All’università avevo comunque fatto qualche passo in avanti verso quello che credevo essere il mio futuro. Presi un corso di legislazione inglese e un altro di legislazione commerciale. Volevo sapere come “il sistema” funzionava, in modo da poterlo abbattere.
Quando i corsi universitari terminarono fui trasferito di nuovo in Germania. Lì c’erano ad attendermi eccitanti novità. Era giunto il tempo del mio ritorno negli Stati Uniti! Preparai le mie valige piene di ricevute di vaglia da cento dollari e partii per gli splendidi lidi della mia patria.
A Fort Dix, nel New Jersey, cercarono di farci firmare tutti per le truppe di riserva dell’esercito. Il sergente che aveva fatto l’annuncio disse: “Chi vuole firmare per le truppe di riserva venga qui, firma e riceverà il congedo. Chi non firma dovrà restare e ascoltare un discorso di un’ora in cui gli spiegherò perché deve firmare”.
Un’ora in più nell’esercito? Impossibile, pensai. Andai avanti e firmai quella carta. Quella decisione presa in una frazione di secondo avrebbe influenzato il resto della mia vita.
Ricevetti la carta lungamente attesa attestante che ora ero borghese. Libero! Non avevo più il minimo desiderio di rivedere una caserma dal di dentro. Le tasche piene, vedevo l’avvenire roseo!
Mi rimaneva ancora da cambiare la mia valigia di vaglia con bei biglietti verdi, ma c’era un problema. Non potevo certo presentarmi all’ufficio postale della mia città, Ellwood City, in Pennsylvania, e versare i miei vaglia alla rinfusa sul banco! Infine trovai una soluzione. A uno a uno mi misi a inviare i miei vaglia a un ufficio postale di New York e presto il denaro cominciò a ritornarmi, lentamente ma sicuramente.
I miei guai con la legge mi avevano insegnato che avrei fatto meglio ad abbracciare una professione in cui potessi agire in tutta sicurezza, al riparo di tutti i possibili paraventi legali. Siccome avevo sempre desiderato essere giurista, feci i passi necessari per essere ammesso in una facoltà di diritto a Pittsburgh, in Pennsylvania.

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Merlin R. Carothers
Merlin Carothers è fondatore della Foundation of Praise e autore cristiano, tra le sue opere: A che cosa pensi?, Che cosa stai facendo?, Dalla paura alla fede, Dalla prigione alla lode, Il paradiso scende nell'inferno, La potenza della lode ecc….

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